verso un modello unitario del funzionamento mentale e cerebrale...
Bowlby e la psicoanalisi
John Bowlby iniziò nel 1929, ventiduenne, la sua analisi didattica con Joan
Riviere, che durò sette anni, alla frequenza di cinque sedute a
settimana, e venne interrotta su invito della moglie Ursula che non voleva che
il marito continuasse a «spendere così i suoi soldi».
Negli stessi anni Bowlby lavorò con i bambini con la supervisione di Melanie
Klein.
Bowlby diventò psicoanalista nel 1937 e si qualificò come membro ordinario della
British Society nel 1939, dove fu molto attivo, ricoprendo i ruoli di segretario
del training, vicepresidente e responsabile amministrativo sotto la presidenza
di Winnicott (1956-1961).
Sin dalle prime fasi della sua carriera psicoanalitica, Bowlby ebbe forti
difficoltà per il modo in cui gli analisti, comprese la Riviere e la Klein,
svalutavano l’importanza dell’ambiente nella genesi del disturbo psicologico.
Fu proprio lavorando con la Klein che Bowlby decise che uno degli obiettivi
della sua carriera sarebbe stato dimostrare quanto sia sbagliato non tener conto
della realtà esterna quando si studia lo sviluppo psichico normale e patologico.
Negli anni ’50, John Bowlby fu colpito dall’intensità e dalla persistenza delle
reazioni dei bambini piccoli alle separazioni dalle madri, documentate dalle
riprese cinematografiche effettuate da James Robertson, come la famosa “A
Two-year-old goes to Hospital” del 1952, che mostra la sofferenza di una
bambina di due anni ricoverata per un’operazione in ospedale (senza la madre,
come allora si usava).
I nodi vennero al pettine già quando Bowlby presentò alla British Society
il film, in cui, con James Robertson, documentava l’angoscia di una bambina
piccola, separata dai genitori per essere ricoverata in ospedale.
I kleniani reputarono che l’angoscia della bambina fosse dovuta più alle sue
fantasie distruttive inconsce verso il bambino non ancora nato della madre
incinta, che non alla separazione dalla madre.
Gli psicoanalisti dell’epoca (comprese Anna Freud e
Melanie Klein) non davano molta importanza a questi eventi o ne attribuivano la
causa a altri fattori e
Bowlby si rese conto che la teoria psicoanalitica, sia nell’originaria
impostazione freudiana sia in quelle di autori successivi, non era in grado di
fornire un’adeguata comprensione dei fenomeni relativi alla separazione dei
bambini dalle madri, a causa dell'attenzione posta esclusivamente sul mondo
"interno".
Nella concezione di Freud, la vita psichica era determinata da fattori inconsci
endogeni (le “pulsioni”) per cui il ruolo delle persone reali era limitato a
quello di “oggetti” della scarica pulsionale.
Altri psicoanalisti avevano iniziato a porre maggiore importanza alle relazioni
del bambino con le figure genitoriali, a cominciare da Melanie Klein: pulsioni
ed “oggetto” sono inscindibili fin dai primi momenti di vita.
Successivamente non è bastata l’affermazione di Winnicott “non c'è una madre
senza un bambino” e viceversa, non c'è un bambino senza una madre, ad evitare
che la psicanalisi continuasse a dare rilievo all’ “oggetto interno” (l’immagine
mentale che un soggetto ha della persona di riferimento), ma ben poco o nulla
alle persone e alle vicissitudini reali.
Bowlby, che aveva una solida formazione psicoanalitica e che faceva derivare la
propria impostazione dalla teoria delle relazioni oggettuali, si è proposto di
rivedere, nell’ottica scientifica, alcuni aspetti della teoria psicoanalitica, a
partire dal costrutto delle "pulsioni".
Psicoanalisi: disciplina scientifica?
Dal 1985, quando compì il suo primo tentativo di delineare una cornice teorica
della psicoanalisi, fino al 1925, quando definì la psicoanalisi come “
scienza dei
processi psichici inconsci”, Sigmund Freud dichiarò sempre che la psicoanalisi
doveva essere una disciplina scientifica.
Per
“scienza” si intende un campo del sapere condivisibile (in maniera non
fideistica) ovvero sottoponibile all‘esperienza di altri, diversamente da
“credenze”, religiose o di altri tipi, che riguardano mondi non direttamente
conoscibili e pertanto non condivisibili con chi non ha la stessa fede.
Popper, filosofo della scienza, ha definito il sapere scientifico come una
costruzione sempre provvisoria, dove ogni elemento di conoscenza è un’ipotesi
che deve essere verificata dai dati dell’osservazione, e, qualora in
contraddizione con un solo dato d’osservazione, dee essere considerata
falsa e abbandonata in favore di un’altra ipotesi che spieghi tutti i dati.
Inoltre per procedere in modo scientifico (cioè condivisibile) si deve scomporre
ogni teoria generale in più ipotesi che la costituiscono e si deve analizzare
ogni ipotesi verificando, con osservazioni o esperimenti, la sua possibile
falsità.
Il sapere scientifico è dunque un’opera sempre in costruzione, dove ogni singolo
elemento deve essere verificato e - se del caso - scartato.
Questi principi si applicano non solo alle scienze del mondo fisico, ma, con i
dovuti accorgimenti, anche alla scienze umane o sociali, quali la psicologia.
Bowlby e le pulsioni freudiane
Nel ricercare la causa prima - seppur inconscia - dell’attività psichica, Freud
ipotizzò che la causa prima fosse costituita da due contrapposte energie
(“pulsioni”) sempre presenti, ma di segno opposto: la pulsione libidica (o
sessuale) e quella distruttiva (o aggressiva).
Nel 1920, in “Al di là del principio del piacere”, Freud ipotizzò un modello in
cui la mente umana è animata da energia che determina tensione se si accumula e
quindi deve essere scaricata o trasformata: la psiche si organizza in modo da
evitare il dispiacere, legato ad un aumento dell’eccitazione.
Sebbene Freud avesse specificato che il termine pulsione andava inteso come
energia psichica, non fisica, il suo modello rimanda ad una concezione
“idraulica” non diversamente da un gas che determini una pressione quando
compresso in un volume.
Così nello schema prototipo dell’isteria, l’energia pulsionale più importante,
quella sessuale, non trovando possibilità di una scarica diretta per la rigida
censura, imposta dalla morale sociale fatta propria dall’individuo (“super-io”),
o viene segregata nell’inconscio da un faticoso lavoro mentale (“rimozione”) o
viene trasformata in altre forme di attività (“sublimazione”) o, ancora, viene
convertita dal livello mentale a quello somatico producendo la sintomatologia
isterica.
Bowlby, citando Popper, ricorda che ciò che distingue una teoria scientifica da
una teoria non scientifica è che possa essere e sia effettivamente sottoposta a
verifica, non una sola volta, ma ripetutamente.
Il metodo scientifico impone che se una teoria è sconfermata dai
fatti va abbandonata come falsa.
Bowlby porta un semplice esempio che contraddice la teoria delle
pulsioni: nel modello descritto da Freud il comportamento è il risultato della
scarica di un’ipotetica energia psichica (la “pulsione”), quindi prima che un
atto possa essere ripetuto si dovrebbe accumulare una nuova provvista di
energia.
Ma “
un bambino può cessare di piangere quando vede la madre e
ricominciare poco dopo quando la madre scompare alla sua vista, e questa
sequenza può ripetersi parecchie volte; in tal caso è difficile supporre che la
cessazione del pianto e la sua ripresa siano causate prima da una caduta e in
seguito da un aumento della quantità di energia psichica disponibile. … [Invece]
il cambiamento di comportamento si comprende facilmente attribuendolo a segnali
provenienti da un cambiamento ambientale”.
Bowlby abbandona quindi il concetto teorico delle pulsioni (come avevano già
fatto a
ltri psicoanalisti come Fairbairn), ma si
pone anche il problema di sostituire il concetto teorica delle pulsioni con
altri costrutti, per una nuova teoria della motivazione.
Psicoanalisi - Scienza - Attaccamento
i lavori teorici che Bowlby presentò nella
Società Psicoanalitica negli anni ‘50, sollevarono notevoli discussioni, ma poco
entusiasmo e talvolta aperta ostilità. Poi, per alcuni decenni “c’è stato un
fragoroso silenzio da parte del movimento psicoanalitico”. Dagli anni '60 Bowlby,
che con la sua teoria aveva sperato di dare alla psicoanalisi basi scientifiche,
gradualmente si allontanò dalla Società Psicoanalitica Inglese, cui tuttavia
rimase iscritto.
Sebbene altri psicoanalisti, abbiano da tempo abbandonato la teoria pulsionale
preferendo basarsi su una primaria “relazione oggettuale”, il modello pulsionale
è tuttora ampiamente usato in campo psicoanalitico, dove i costrutti teorici infondati non sono rigettati
(oltre che per le ovvie difficoltà a verificare la fondatezza o meno di fenomeni
psichici che in gran parte sfuggono alla diretta osservazione), anche per un
senso di rispetto verso grandi nomi della psicoanalisi e specialmente verso il
fondatore della disciplina, nonché di ammirazione per la bellezza espositiva dei
suoi scritti.
Il carattere clinico della psicoanalisi, il metodo di trasmissione e la tendenza
al confronto solo all’interno di alcune istituzioni psicoanalitiche hanno
contribuito a mantenere in questo campo il “principio d’autorità” abolito da
secoli in tutti i settori della conoscenza scientifica (intesa in senso lato,
come conoscenza condivisa e non solo tecnico-matematica).
Inoltre, al modello di funzionamento psichico, proposto un secolo fa da Freud, si
sono sovrapposti più modelli teorici, talvolta anche contrastanti, senza che i
concetti palesemente infondati siano stati chiaramente eliminati dal corpus
teorico della psicoanalisi.

La teoria psicoanalitica si è sedimentata per apposizioni successive, con il
risultato che oggi appare costituita da un insieme alquanto disomogeneo di
concetti teorici, come un magazzino di idee, dove il clinico attinge scegliendo
in base alla miglior corrispondenza con il quadro clinico del paziente, o, più
spesso, a seconda della sua specifica formazione.
Si tende a ritenere che le diverse impostazioni costituiscano “modelli”
pressoché equivalenti, ma il mondo scientifico si definisce come campo della
conoscenza possibile, condivisibile con gli altri, che procede per selezione
delle ipotesi valide attraverso la confutazione delle teorie infondate.
Nonostante l’intenzione di Freud di “
sviluppare la psicologia fino a farne una
scienza naturale come tutte le altre” (Freud, Compendio di psicoanalisi,
1938), la psicologia psicoanalitica, presa nel suo insieme, non è considerata
una disciplina scientifica.
I filosofi della scienza la criticano in quando le teorie psicoanalitiche sono
poste in forma così elastica che non è possibile verificarne l’eventuale
falsità, come invece prescrive il metodo scientifico.
Il confronto tra i filosofi della scienza, quali portavoce del metodo
scientifico, e gli psicoanalisti dura da decenni, anche se una parte del mondo
psicoanalitico (vedi Ricoeur) si è chiusa nella posizione ermeneutica,
dichiarando espressamente di considerare la psicoanalisi non una scienza bensì
una disciplina umanistica.
Alcuni psicoanalisti hanno iniziato a porre maggiore attenzione alle esigenze
(di controllo, predizione, replicabilità, ecc.) proprie del mondo scientifico, e
si sono avvicinati alla teoria e ricerca dell'attaccamento (Daniel Stern, Peter Fonagy).
La perdita
Bowlby ha presentato le sue idee come un nuovo sviluppo metapsicologico, basato
sulla seconda teoria dell’angoscia, che Freud aveva presentato nel suo lavoro
del 1926 “Inibizione, sintomo e angoscia”, teoria chiamata
dell’angoscia-segnale.
In questo lavoro, Freud svolge una riflessione sul problema della perdita e le
sue conseguenze sulla psiche, giungendo alla conclusione che l'essere umano si
sente minacciato da diverse perdite e non solo dalla castrazione: perdita
dell’oggetto, perdita dell'amore dell’oggetto, ecc.) cambiando la sua concezione
di angoscia, che da “libido trasformata” si trasforma ad un segnale emesso per
l’Io contro il rischio di perdita.
Freud ha cercato per tutta la vita di risolvere il problema di integrare in una
sola sequenza le diverse reazioni alla perdita, come il dolore, l’angoscia e le
difese.
Nel suo ultimo lavoro, Compendio di psicoanalisi, pubblicato postumo, sembra
trovare una soluzione ed infine “avverte chiaramente - afferma Bowlby, citando
Freud - che l'ansia è la reazione prodotta dal pericolo di perdita dell'oggetto,
il dolore è la risposta prodotta prima della perdita effettiva di questo, e le
difese proteggono l'Io contro le richieste istintuali che minacciano di dominare
e che possono verificarsi ... in assenza dell'oggetto” (Bowlby, 1985, citando
Freud).
Applicando la teoria freudiana, in un modo altrettanto semplice ed elegante,
Bowlby sostiene che le tre fasi di reazione del bambino alla separazione sono
pienamente coerenti con la concezione di Freud:
- fase della protesta (l'ansia di separazione) = reazione alla minaccia
della perdita;
- fase della disperazione (il dolore) = reazione alla perdita effettiva;
- fase del distacco = la difesa dell’ Io.
Convergenze e Divergenze
Bowlby, che si è posto l’esplicito obiettivo di sostituire alcuni costrutti
teorici della psicoanalisi classica con altri fondati su validi criteri
scientifici, osserva che, anche accantonando il modello pulsionale, restano intatti i
concetti essenziali della psicoanalisi: ruolo dei processi psichici inconsci, la
rimozione come processo attivo per farli rimanere tali, il transfert come una
delle principali determinanti del comportamento, l'origine delle nevrosi
nel trauma infantile.
Al contrario, "il principio di piacere e la teoria
tradizionale della difesa, essendo formulati sul modello dell'energia
psichica, sono da considerarsi insoddisfacenti".
Restano comunque fondamentali due concetti, presupposti di tutta la psicologia
psicoanalitica: il determinismo psichico (gli avvenimenti psichici non sono
casuali ma riconoscono meccanismi di causa-effetto) e l’inconscio (l’apparente
discontinuità psichica è dovuta alla parte inconscia dell’attività mentale, che
sfugge alla coscienza dell’individuo).
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